1. Introduzione
A partire dall’autunno 2020, grazie all’impegno del mondo scientifico, diverse aziende farmaceutiche hanno annunciato di aver ottenuto un vaccino efficace contro il virus Sars-Cov-2 (responsabile delCOVID-19) ed è stato successivamente dato avvio alla campagna vaccinale in quasi tutto il mondo.
Lo sviluppo di un vaccino pone delle questioni non soltanto dal punto di vista medico, ma anche dal punto di vista legale. Nel mezzo di una pandemia, infatti, è necessario trovare un punto di equilibrio tra la necessità urgente di distribuire in ampia misura un vaccino efficace e il rispetto dei severi requisiti amministrativi e legali che garantiscono la qualità e la sicurezza dei prodotti farmaceutici, nonché la protezione dei diritti di proprietà intellettuale.
2. Cos’è un vaccino
L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) definisce un vaccino come un “farmaco biologico il cui scopo consiste nel prevenire una o più malattie infettive attraverso la stimolazione del sistema immunitario e la successiva acquisizione della cosiddetta ‘immunità attiva’”.
Lo scopo primario di un vaccino è, una volta inoculato nel corpo umano, stimolare la risposta immunitaria senza causare la malattia, determinando la produzione dei relativi anticorpi contro il microrganismo responsabile della malattia e rafforzando il sistema immunitario.
3. L'iter amministrativo per lo sviluppo dei vaccini
Per giungere alla commercializzazione e alla somministrazione di un vaccino sono richiesti numerosi passaggi e il processo complessivo – in condizioni diverse da quelle attuali - normalmente necessita di anni per essere completato.
Il primo passo consiste nell’analisi del microrganismo responsabile della malattia e della sua interazione con il corpo umano. In seguito, i ricercatori svolgono la sperimentazione pre-clinica, che comprende studi in vitro e la sperimentazione in animali al fine di esaminare la risposta immunitaria, il profilo tossicologico e l’efficacia del prodotto.
Se questa prima fase ha successo, si procede ad effettuare i test clinici preliminari nell’uomo. La sperimentazione clinica prevede quattro fasi; le prime tre hanno luogo prima che il vaccino sia commercializzato, mentre la quarta si volge dopo che il prodotto finale è stato messo sul mercato.
In Italia, l’intero processo è presieduto e supervisionato dall’AIFA, che esegue una serie di controlli e verifiche progressive per controllare la sicurezza e l’efficacia del vaccino.
La fase I della sperimentazione clinica prevede la somministrazione del vaccino ad un limitato numero di persone (dell’ordine delle decine) con lo scopo di testarne la tollerabilità ossia la frequenza e gravità degli effetti collaterali. Solo quando la fase I ha successo è possibile passare alla fase II, durante la quale il vaccino può essere somministrato a un numero maggiore di persone e i ricercatori possono valutarne la tossicità e la capacità di generare la risposta immunitaria efficace. Attraverso la fase II vengono determinati il dosaggio del vaccino e i protocolli di somministrazione.
Durante la fase III - che di solito dura tra i due e i quattro anni, ma può essere accelerata in caso di urgenza - il vaccino viene somministrato ad un numero ancora maggiore di persone (dell’ordine di migliaia), secondo il dosaggio e i protocolli stabiliti nella fase II, al fine di verificare l’insorgere di eventuali effetti collaterali e provare ulteriormente l’efficacia e la sicurezza del prodotto, nonché la risposta immunitaria sviluppata.
Solo se i risultati dei test di fase I-III sono in linea con gli standard richiesti, i ricercatori possono iniziare i processi di approvazione a livello europeo o nazionale che consentono di somministrare il prodotto al pubblico garantendone la qualità, la sicurezza e l’efficacia. Per quanto riguarda il procedimento europeo, l’approvazione è rilasciata dall’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA), mentre il procedimento italiano - regolato dal decreto legislativo n. 219 del 24 aprile 2006 – è finalizzato al rilascio dell’autorizzazione, da parte dell’AIFA, all’immissione in commercio per il mercato italiano (AIC).
La fase IV, i cosiddetti “studi di sicurezza post-autorizzazione”, si svolge dopo che il vaccino è stato autorizzato dall’autorità competente. In questa fase sono raccolte ulteriori informazioni sugli effetti collaterali, la sicurezza, i rischi e i benefici a lungo termine.
L’entità responsabile dello sviluppo di un vaccino può ottenere una maggiore protezione della relativa proprietà intellettuale depositando una domanda di brevetto ai sensi della legislazione descritta di seguito.
4. La brevettabilità dei vaccini secondo la legge italiana
Secondo l’articolo 45 del Decreto Legislativo del 10 febbraio 2005, n. 30, il cosiddetto “Codice della Proprietà Industriale”: “possono costituire oggetto di brevetto per invenzione le invenzioni nuove che implicano un’attività inventiva e sono atte ad avere un’applicazione industriale”.
Pertanto, secondo la legge italiana ai fini della concessione di un brevetto un’invenzione deve rispettare tre requisiti:
(i) deve essere nuova;
(ii) deve essere originale;
(iii) deve avere un’applicazione industriale.
Il carattere della novità è soddisfatto quando l’invenzione ancora non è stata resa disponibile e distribuita tra il pubblico e, quindi, non è compresa nello stato dell’arte esistente al momento del deposito della domanda di brevetto.
L’originalità, invece, sussiste quando l’invenzione non è ovvia agli occhi di una persona esperta del settore in virtù della conoscenza generale o dello stato dell’arte e il suo sviluppo richiede un’attività inventiva.
Infine, un’invenzione ha un’applicazione industriale se ha un’utilità che può essere applicata in un qualsiasi ambito industriale, in altre parole se è tecnicamente realizzabile.
Il secondo paragrafo dell’articolo 45 del Codice della Proprietà Industriale indica una lista di invenzioni che non sono in ogni caso brevettabili: (i) scoperte, teorie scientifiche e metodi matematici; (ii) piani, principi e metodi per attività intellettuali, divertimento o attività commerciale e programmi per computer; e (iii) presentazioni di informazioni.
Con riferimento all’estensione temporale della privativa industriale, l’art. 60 del Codice della Proprietà Industriale stabilisce che il brevetto per invenzione ha una durata di 20 anni dal momento del deposito della domanda e non può essere rinnovato, ne' può esserne prorogata la durata.
Nel caso dei brevetti sui farmaci, dato che la relativa immissione in commercio è regolamentata da una procedura amministrativa che ne ritarda sensibilmente la commercializzazione rispetto al momento del deposito della domanda di brevetto, la durata è estesa dai Supplementary Protection Certificate, corrispondenti ai Certificati Complementari di Protezione italiani, definiti in Europa dal Reg. CE 1761/92. I Certificati Complementari di Protezione allungano la durata del monopolio brevettuale fino a un massimo di 5 anni.
5. I diversi tipi di brevetti in campo farmaceutico
Nell’ambito del settore farmaceutico si distinguono due tipi di brevetti, a seconda che essi garantiscano al titolare la protezione di uno specifico procedimento per la sintesi di una determinata molecola, il c.d. brevetto di procedimento, ovvero la tutela di un determinato principio attivo che compone un farmaco (o un vaccino), il c.d. “brevetto di prodotto”. Inoltre, all’interno di quest’ultima categoria di brevetti (“brevetti di prodotto”) si individuano due ulteriori sub-categorie: il c.d. brevetto di barriera e il c.d. brevetto di selezione. Il primo ha ad oggetto una specifica sottocategoria di molecole che determinano una specifica risposta immunitaria diversa da quella data dalla loro famiglia di appartenenza. Il secondo, invece, riguarda una famiglia di sostanze chimiche accomunate dalle medesime strutture ed effetti.
Si deve ricordare anche il c.d. brevetto di secondo livello, che ha ad oggetto una nuova indicazione terapeutica per un prodotto già brevettato e può essere ottenuto solamente a condizione che il nuovo uso non possa essere determinato in maniera ovvia sulla base della finalità terapeutica originale per la quale il farmaco era stato brevettato in un primo tempo.
6. Il procedimento che ha portato all’ammissione della brevettabilità dei vaccini
Fino al 1978, nell’ordinamento italiano non era ammessa la brevettabilità dei vaccini o dei farmaci in generale. La finalità principale di tale preclusione era quella di evitare che persone senza esperienza o competenze in ambito farmaceutico potessero beneficiare del brevetto per commercializzare prodotti di cui non era garantita la sicurezza o l’utilità per la salute pubblica. Inoltre, non era considerato eticamente accettabile che gli strumenti destinati a sconfiggere le malattie potessero essere resi oggetto di un’esclusiva e, quindi, generare un sostanziale profitto economico, con l’ulteriore rischio dell’aumento del prezzo dei prodotti farmaceutici dovuto alla monetizzazione dei diritti di brevetto.
Tale prospettiva è stata oggetto di un radicale stravolgimento a partire dalla sentenza della Corte Costituzionale italiana n. 20 del 9 marzo 1978, che ha dichiarato l’incostituzionalità del comma 1 dell’articolo 14 del Regio Decreto n. 1127 del 29 giugno 1939 che prevedeva il divieto di brevettabilità dei prodotti farmaceutici in generale.
In tale pronuncia, la Corte affermava che le sopracitate preoccupazioni del legislatore non trovavano più fondamento, soprattutto in ragione dell’industrializzazione della produzione farmaceutica. Inoltre, si specificava che l’aumento dei prezzi poteva essere evitato dal momento che i prezzi dei prodotti farmaceutici erano fissati da specifiche leggi in materia sanitaria e, comunque, erano controllati da un comitato nazionale specifico. Ancora, la Consulta dichiarava che la disposizione in questione era in contrasto con la necessità di promuovere l’attività di ricerca dato che il riconoscimento dei diritti di brevetto costituisce un incentivo per le industrie e le società farmaceutiche a investire in nuovericerche e scoperte in vista dei ritorni finanziari che possono ricavarne. Dunque, la Corte Costituzionale riteneva che non fosse più applicabile la differenza di trattamento tra la generalità degli inventori e quelli operanti in ambito farmaceutico per quanto atteneva alla brevettabilità delle loro invenzioni.
Il contenuto di tale sentenza è stato recepito dal legislatore con l’emanazione del decreto del Presidente della Repubblica n. 338 del 22 giugno 1979, che ha riconosciuto ufficialmente nell’ordinamento italiano la brevettabilità dei prodotti farmaceutici, compresi i vaccini.
7. Gli istituti della licenza obbligatoria e dell’espropriazione di brevetto
I diritti di brevetto attribuiti ai relativi titolari possono costituire un adeguato incentivo all’impiego delle loro risorse in campo medico. Una volta ottenuti e riconosciuti i diritti di esclusiva, infatti, le aziende farmaceutiche titolari di brevetto hanno interesse a commercializzare spontaneamente il prodotto finale, quale un vaccino, in proprio o tramite un licenziatario o un distributore.
In caso contrario, va tenuto presente che la maggior parte delle normative dei paesi europei, nonché gli accordi TRIPS dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, comunque consentono di imporre licenze obbligatorie dei prodotti brevettati in caso di specifiche e urgenti necessità nazionali. Questo significa che in taluni casi di emergenza un governo può disporre in favore di qualcuno che non è il titolare del brevetto la facoltà di produrre un determinato prodotto o di utilizzarlo direttamente senza il consenso del titolare. Siffatta soluzione è prevista per far fronte ai possibili problemi che potrebbero sorgere in caso di contrasto tra gli interessi dei titolari dei diritti di brevetto e l’esigenza della collettività di uno specifico prodotto farmaceutico urgentemente richiesto, come un vaccino in caso di pandemia.
A questo proposito, in Italia esistono delle regole specifiche. In particolare, l’articolo 70 del Codice della Proprietà Industriale consente l’imposizione della licenza obbligatoria nel caso in cui: (i) l’invenzione non sia sfruttata da parte del suo titolare entro tre anni a partire dalla data di rilascio del brevetto (o quattro anni dalla data di deposito della domanda, se questo termine scade successivamente al precedente); (ii) l’invenzione sia stata attuata in misura gravemente sproporzionata rispetto alle esigenze del Paese, o (iii) la sua esecuzione sia stata sospesa o interrotta per lo stesso periodo di tre anni successivo al suo brevetto in modo tale da non soddisfare le esigenze del Paese.
Secondo l’articolo 71 del Codice della Proprietà Industriale, una licenza obbligatoria può essere concessa anche nel caso del c.d. “brevetto dipendente”, cioè quando lo sfruttamento di un brevetto richiede l’utilizzo di un altro prodotto o procedimento coperto da diritti di brevetto detenuti da un soggetto diverso.
Un’altra ipotesi di licenza obbligatoria è prevista dal Regolamento (CE) n. 816/2006, pienamente applicabile in Italia, nel caso di brevetti relativi alla fabbricazione di prodotti farmaceutici da esportare in Paesi con problemi di salute pubblica.
Infine, l’articolo 141 del Codice della Proprietà Industriale disciplina l’espropriazione dei diritti di proprietà industriale. Questa disposizione consente allo Stato di espropriare qualsiasi diritto di questo genere - fatta eccezione per i marchi - anche se ancora in fase di registrazione o in attesa di brevetto, per ragioni di necessità di difesa militare o per finalità di pubblico interesse.
Il procedimento di cui sopra è piuttosto complesso, in quanto l’espropriazione deve essere disposta con Decreto del Presidente della Repubblica a seguito di una procedura che si articola in più fasi, nella quale si devono adeguatamente considerare le conseguenze dell’intervento e operare un bilanciamento con i diritti garantiti dalla Costituzione, come il diritto di proprietà di cui all’art. 41 della Costituzione. In ogni caso, il titolare del brevetto dovrà ricevere un giusto indennizzo per la forzata rinuncia allo sfruttamento dei suoi diritti esclusivi.
Tale procedura, invero, potrebbe essere utilizzata nel caso in cui il titolare di un brevetto su un nuovo vaccino non intenda sviluppare una produzione sufficiente alle esigenze del Paese.
In entrambe le ipotesi sopra descritte (licenza obbligatoria ed espropriazione) è sempre necessario trovare un equilibrio tra il perseguimento del bene comune (quale la salute pubblica durante una pandemia) e la difesa degli investimenti e delle idee delle case farmaceutiche (che, senza profitto, non investirebbero più in ricerca e sviluppo).
8. Conclusioni
Come sopra esplicitato, l’iter da compiere prima della commercializzazione di un nuovo vaccino richiede solitamente diversi anni, durante i quali devono essere effettuati numerosi test per garantire l’efficacia e la sicurezza del prodotto finale: questi tempi sono stati necessariamente ridotti nel caso del vaccino contro il virus Sars-Cov-2 (l’EMA si era immediatamente attivata per aiutare i ricercatori a ridurre questi tempi, ad esempio introducendo delle procedure semplificate) alla luce della situazione di emergenza - rispettando, comunque, tutte le procedure volte a garantire la sicurezza del vaccino contro il Coronavirus, al fine di assicurare la disponibilità di un prodotto sicuro nei tempi più congeniali per far fronte alla pandemia.
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